Vasco è stato cacciato. Di nuovo. La terza volta nella sua breve vita. Non ha mai avuto molta fortuna.

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**Diario di un gatto randagio**

Giorgio è stato cacciato. Di nuovo. La terza volta nella sua breve vita. Non aveva mai avuto fortuna.

Aveva appena compiuto un anno e già tre famiglie lo avevano abbandonato. Beh, non proprio abbandonato. Allinizio lo passavano di mano in mano. Poi, un giorno, lo portarono fuori, si allontanarono un po dalla casa, lo depositarono in un bidone dellimmondizia e scapparono. Perché non trovasse la strada di casa. Ma lui non la cercò nemmeno.

Aveva capito tutto. Subito. Dal viso di quelluomo. La moglie si era disperata quando Giorgio aveva graffiato il divano nuovo, di pelle.

Molto costoso. Lei aveva deciso. E il marito? Il marito annuiva sempre a tutto.

Prese il gattino di un anno sotto il braccio e lo portò al cassonetto del cortile vicino. Giorgio non lo seguì. No, non lo fece. Aveva visto la condizione nei suoi occhi e aveva capito.

Tutto inutile. Avrebbe potuto salutarlo, accarezzarlo unultima volta, chiedergli scusa. Invece no.

Non era stato umano. Come svuotare un secchio della spazzatura.

Giorgio sospirò e frugò tra i rifiuti, trovando qualche avanzo di pollo. Uscì dal bidone e si sedette accanto a quel grande contenitore verde. Guardò il sole.

Strizzò gli occhi, ma non distolse lo sguardo. Quel grande cerchio luminoso emanava calore. E a lui piaceva tantissimo.

Erano gli ultimi raggi del sole. Raggi destate, dautunno, dinverno. Un piccolo tepore. E la crosta di ghiaccio si sciolse.

Ma nel cuore di Giorgio rimase congelata.

La sera e la notte furono gelide. Dopo il tramonto, il vento e il freddo iniziarono il loro lavoro.

Il gatto rosso si stava congelando. Non sapeva dove andare, come nascondersi, così trovò un mucchio di foglie secche e si infilò dentro. Si raggomitolò. Allinizio tremava dal freddo, ma poi

Poi, quando il vento e la pioggia ghiacciata gli resero il pelo duro, per qualche motivo si sentì più caldo e i brividi sparirono. Una voce nel profondo gli sussurrava parole dolci.

Parole che lo cullavano, gli dicevano di chiudere gli occhi e dimenticare ogni dolore.

«Stringiti ancora e dormi. Dormi, dormi, dormi». Sentiva anche calore.

Il calore si diffondeva nel suo corpicino intirizzito.

Era così semplice. Bastava arrendersi e tutto sarebbe finito. E sarebbe arrivata la pace, leternità. Le offese e i dolori sarebbero svaniti.

Giorgio sospirò unultima volta e accettò. Perché combattere? Per cosa?

Domani lo avrebbero aspettato solo altro freddo e fame. E lo stesso desiderio di chiudere gli occhi per non riaprirli mai più.

I lampioni si accesero lontani, in fondo alla strada. Giorgio li guardò unultima volta. Spesso li osservava dalla finestra di casa. Il gatto rosso assorbì quella luce unultima volta, e i suoi occhi brillarono nel buio che avanzava.

Quellultimo bagliore attirò lattenzione di una bambina dai capelli rossi. Stava tornando a casa col papà. Tirò la manica del padre.

«Là» disse. «Là, tra le foglie, cè qualcuno.»

«Non cè nessuno» borbottò il padre infreddolito. «Andiamo, ho freddo.»

Cercò di portarla via da quel mucchio scuro di foglie. La bimba scosse le spalle.

«Ho visto. Ho visto una luce.»

«Una luce in un mucchio di foglie?» Il padre era perplesso. «Non può essere.»

Ma lei era già lì, scostando lo strato superiore, e lo trovò. Il gatto rosso.

«Papà!» gridò. «Te lho detto! È lui!»

«Chi?» chiese il padre, avvicinandosi.

«Eccolo.» La bimba cercò di sollevare il corpicino rigido.

«Lascialo stare» disse il padre. «È morto. Non possiamo portare a casa un gatto morto.»

«Non è morto» insisté lei. «Lo so. È vivo. Ho visto la luce nei suoi occhi.»

«La luce negli occhi di un gatto?» Il padre alzò le spalle.

Si avvicinò ancora, sollevò il gatto e cercò di sentire il battito.

Ma Giorgio voleva solo dormire. Tanto, tanto. Il sonno gli chiuse le palpebre, il calore lo pervase. E la voce dentro di lui continuava a sussurrare:

«Dormi, dormi, dormi Non aprire gli occhi.»

Ma quella vocina, quella vocina infantile, insisteva.

«La luce nei suoi occhi!»

«Cosa vogliono da me? Perché mi tormentano? Perché non mi lasciano dormire?»

Riuscì a malapena ad aprire gli occhi, per vedere chi lo disturbasse.

«Ecco!» gridò la bambina. «Ecco! Te lho detto! Lhai visto? Ancora! La luce!»

«Che luce?»

Il padre scosse la testa, ma si tolse la giacca, avvolse il gatto e si diresse verso casa.

La bambina gli correva accanto. «Papà, sbrigati! Ha freddo!»

Sparirono nel portone, poi una luce si accese al quinto piano.

Giorgio fu lavato con acqua tiepida e nutrito con latte caldo. La bambina lo supplicava:

«Non morire, per favore, non morire.»

E il ghiaccio sul suo pelo si sciolse. E nel suo cuore anche.

Il grande gatto rosso guardava stupito come il padre e la figlia si prendevano cura di lui. Era sveglio ora, e si sentiva davvero al caldo.

Non il caldo dei termosifoni. Quello di un piccolo cuore di bambina.

E fuori cera Lui. Quello che a volte arriva per aiutare.

Guardava le finestre illuminate al quinto piano. Stava lì e diceva:

«Tutto quello che posso fare. Tutto quello che posso.»

Rimase in silenzio, poi aggiunse:

«La luce non tutti la vedono. E non tutti quelli che la vedono sanno conservarla.»

Giorgio, guardando la bambina dai capelli rossi, non pensava alla grandezza degli uomini. Quello lo fanno gli uomini. Lui pensava solo a una cosa.

Aveva visto la luce. La luce nei suoi occhi.

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